Viaggiare nel tempo si può, le storie lo dimostrano da sempre. Non è nemmeno obbligatorio procurarsi uno Spirito del Natale Passato, Presente, Futuro oppure una DeLorean – seppure, con quest’ultima a portata di mano, le cose si fanno parecchio divertenti. Serve, questo sì, la capacità di mescolare le carte, di anticipare e posticipare gli eventi senza creare confusione in chi legge – o guarda, o ascolta.
Questi viaggi nel tempo, nelle storie, prendono il nome di flashback o analessi – quando si fa un salto nel passato – e di flashforward o prolessi – quando si anticipa un evento.
Veniamo al flashback. I motivi per utilizzarlo possono essere diversi: il bisogno di ragguagliare i lettori sul passato di un personaggio, di colmare una lacuna o di movimentare l’intreccio.
Un flashback si può raccontare in vari modi. C’è il classico “Dieci anni prima accadde che…” con l’indicazione temporale che non dà adito a dubbi. Anche “Tizio passeggia sul lungomare e il suo pensiero corre veloce alle estati dell’infanzia. Come quella del ’72, quando con la nonna…” esplicita il passaggio dal presente al passato con il ricordo che scivola indietro nel tempo. Infine, l’andare a capo, spesso con una spaziatura che evidenzia il passaggio temporale, è una restituzione visiva del salto. Ma non sono gli unici modi.
Less e il flashback
Condivido quello utilizzato da Andrew Sean Greer. L’autore di Less, Premo Pulitzer nel 2018, sceglie una strada diversa. Prima di analizzare l’estratto, due cenni sulla trama: Arthur Less è un autore che ha goduto di un discreto successo con il primo libro per poi finire nell’oblio. È ben più conosciuto per essere stato il compagno di lunga data di un poeta famoso e pluripremiato. Ma come sempre accade nelle storie una serie di eventi cambiano un finale che sembrava già scritto.
Nell’estratto che ho scelto Less si trova in Italia perché il suo libro è stato inaspettatamente selezionato per un premio. Nelle prossime righe lo troviamo seduto insieme agli altri autori candidati durante la serata dell’assegnazione del premio.
Mentre il sindaco prosegue nei suoi vocalizzi in italiano, Less inizia a ipotizzare che si tratti della traduzione. Come dire, deve essere stato supertradotto: il suo romanzo è stato affidato a un genio misconosciuto della poesia (Giuliana Monti, si chiama) che ha forgiato il suo inglese mediocre in un italiano mozzafiato. Il libro in America era stato ignorato, quasi non era stato recensito, e neanche un giornalista aveva chiesto di intervistarlo (“L’autunno non è un buon momento,” era stato il commento dell’ufficio stampa), ma qui in Italia vede che lo prendono sul serio. E in autunno, per di più. Solo questa mattina gli hanno mostrato gli articoli usciti sulla Repubblica, sul Corriere della Sera, su giornali locali e giornali cattolici, con fotografie di lui nel suo abito blu che cerca la macchina fotografica con lo stesso preoccupato, ingenuo sguardo color zaffiro che aveva rivolto a Robert su quella spiaggia. In realtà dovrebbe esserci la fotografia di Giuliana Monti. È lei ad aver scritto il libro. Ha riscritto, trasformato, trasfigurato Less stesso. Perché lui il genio lo ha conosciuto. Il genio lo ha svegliato nel cuore della notte, con il suono dei suoi passi nei corridoi; al genio ha preparato il caffè e la colazione e il panino al prosciutto e il tè; insieme al genio ha giaciuto nudo, lo ha strappato al panico, gli ha portato i pantaloni dalla sarta e gli ha stirato le camicie per le presentazioni dei libri. Ha conosciuto ogni centimetro della sua pelle; ne ha memorizzato l’odore e il tocco. Fosters Lancett, una casella dietro di lui sulla scacchiera, per il quale una conferenza di un’ora su Ezra Pound è una bazzecola: ecco, lui sì che è un genio. Alessandro, con i suoi mustacchioni da Baffo Blu, l’elegante Luisa, il perverso finlandese, Riccardo il tatuato: possibili geni. Come si è potuta creare una simile situazione? Quale dio ha abbastanza tempo libero da orchestrare questa specialissima umiliazione, da far volare fin qui un romanziere minore dall’altra parte del mondo così che possa percepire, con qualche sesto senso, la meschinità del proprio valore? Decretato da degli studenti, peraltro. C’è forse un secchio di sangue appeso alla volta della sala che aspetta di essere rovesciato sul suo abito blu acceso? E questa alla fine si trasformerà davvero in una segreta? È un errore, una trappola, o entrambi. Ma adesso non c’è più via di fuga.
Andare nel passato
Siamo nei pensieri di Less, nelle sue preoccupazioni e nel senso di inadeguatezza che lo tormenta, siamo nel suo sguardo che si sofferma sugli altri finalisti e ce li presenta. Fino a questo punto.
Dalla prossima riga Less lascia la sala, pur essendo ancora lì. Come ci riuscirà?
Arthur Less ha lasciato la sala, pur essendo ancora lì. Adesso è solo nella camera da letto della capanna, e si allaccia il papillon di fronte allo specchio. È il giorno dei premi Wilde e Stein, e lui per un momento pensa a che cosa dirà quando vincerà, e per un momento ha un’espressione raggiante. Tre colpi alla porta d’ingresso e il rumore di una chiave nella toppa. “Arthur!” Less corregge papillon e aspettative. “Arthur!” Da dietro l’angolo sbuca Freddy che dalla tasca dell’abito parigino (così nuovo che le tasche non sono ancora state scucite del tutto) estrae una scatolina piatta. È un regalo: un papillon a pois. Quindi adesso bisogna disfare l’altro e mettersi questo nuovo. “Hai pensato a cosa dire quando vinci?” gli chiede Freddy guardando la sua immagine riflessa.
E poi: “Tu credi che sia amore, Arthur? Non è amore,” farnetica Robert nella loro camera d’albergo di New York prima del pranzo per il Pulitzer. Alto e snello come il giorno in cui si sono incontrati; brizzolato, certo, e con il viso segnato dall’età (“Sono come un libro a cui hanno fatto le orecchie”), ma ancora l’incarnazione dell’eleganza e del furore intellettuale. Lì in piedi, con i capelli bianchi, di fronte alla luce viva della finestra: “I premi non sono amore. Perché chi non ti ha mai conosciuto non ti può amare. Le caselle del vincitore sono predeterminate, da adesso fino al giorno del giudizio. Loro sanno che tipo di poeta vincerà, e se per caso tu puoi rientrare in quella casella allora hai fatto bingo! È come essere della taglia giusta per un vestito di seconda mano. È fortuna, non amore. Non che ci sia niente di male nell’avere fortuna. Forse bisogna solo pensare che si è al centro della bellezza. Per puro caso, oggi ci ritroviamo al centro della bellezza. Non significa che io non lo desideri, il premio. È un modo disperato di ottenere gratificazione – ma io sto al gioco. Sono un narcisista; e alla fine, noi passiamo la vita a cercare disperatamente gratificazione. Stai benissimo con questo vestito. Non capisco davvero come tu possa vivere con un cinquantenne. Ah, giusto, a te piace il prodotto finito. Non vuoi doverci mettere del tuo. Facciamoci un bicchiere di champagne prima di andare. Lo so che è mezzogiorno. Devi farmi il papillon. Io mi dimentico come si fa perché so che tanto ci sei tu che non te lo dimentichi. Non saranno amore i premi, ma questo lo è. Come ha scritto Frank: È un giorno d’estate, e la cosa che voglio di più al mondo è essere voluto.
In questo passaggio abbiamo viaggiato nei ricordi di Less.
Si tratta di due ricordi che riguardano i premi letterari – il primo riguarda il suo libro, il secondo, il Pulitzer, lo vinse il suo compagno e poeta Robert Brownburn.
Il passaggio dalla serata di premiazione italiana al ricordo avviene grazie alla frase ‘Artur Less ha lasciato la sala, pur essendo ancora lì‘. La congiunzione avversativa ‘pur‘ ci mette sull’attenti: non si tratta di una storia di supereroi, il buon Less non ha il potere di stare in due luoghi contemporaneamente. Dunque, ci stiamo muovendo nel tempo.
L’autore accompagna noi lettori da uno spazio all’altro: ‘Adesso è solo nella camera da letto della capanna‘. Non siamo più in compagnia del sindaco e del pubblico del premio ma nella capanna, la casa in cui Less visse prima con Robert e poi con Freddy. Comprendiamo, perché l’abbiamo letto nella prima parte del romanzo, che si deve trattare di ricordi: il protagonista non abita più in quella casa (che affettuosamente chiama capanna) con Robert, prima, e con Freddy poi.
Ci troviamo nel passato e subito ne abbiamo la conferma. Siamo sempre in una giornata dedicata a un premio, ma nel primo ricordo il premio è il Wilde e Stein mentre nel secondo è il Pulitzer, destinato al compagno Robert. Et voilà, il flashback è servito.
Tornare nel presente
Ora c’è bisogno di tornare in Italia, nella sala della premiazione. Ci pensa un rumore – l’applauso – a ridestare Less, così come il tocco di qualcuno che lo ridesta. Eccoci di nuovo tra il pubblico.
Un altro tuono scuote Less dai suoi pensieri. Ma non è un tuono; è un applauso, e lo scrittore giovane lo sta tirando per la manica della giacca…
La frase prosegue, ho preferito interromperla con i punti di sospensione per non rovinare il seguito a chi vorrà leggere la – godibilissima – storia per intero.
Tornando al flashback, in questo passaggio l’autore di Less ci regala un viaggio nel tempo costruito in modo elegante, per niente urlato, che utilizza in primis le ambientazioni – “Arthur Less ha lasciato la sala…”. “Adesso è solo nella camera da letto della capanna…” – per informare i lettori del cambiamento in divenire.
Come sempre, non esiste un unico modo per raccontare, le possibilità sono sempre molteplici. Leggere storie e autori diversi permette di scoprire questa molteplicità. È una consapevolezza fondamentale per chi racconta, è molto utile anche a chi vuole godere appieno della lettura.
Per chi volesse conoscere meglio questo autore, che vive e lavora anche in Italia, qui un’intervista di Vogue Italia in occasione dell’assegnazione del Pulitzer.