Racconto – Come in una bolla

di Antonella Grassi

Tra due giorni è Natale, di nuovo. Tutto come sempre: le luci gialle, l’aria bianca, gli enormi pacchi rossi in vetrina. L’orchestrina sgangherata dei Rom con il cappello e la giubba lercia da Babbo Natale, i sampietrini di via Garibaldi squassati da plotoni di passi voraci, su e giù, dentro e fuori, ancora, ancora.

Tutto come sempre, a parte te. Ci sei tu, quest’anno, tu che chissà chi sei, come sei. Strano, conoscersi poco prima di Natale, questa voglia di nuovo che un po’ stona, alla fiera del passato.

“Tarderò qualche minuto, sorry. C’è fila in libreria” scrivi.

Mi infilo nello spazio tra due bancarelle, al riparo dai piedi orbi della gente. Dall’altra parte della strada, loro. 

Il bambino: otto anni, forse nove. Le mani sprofondate nelle tasche dei jeans, la punta del mento al petto, i capelli nerissimi e folti, rasati alla base. È vestito come tutti i bambini della sua età. A un metro e mezzo di distanza l’uomo, il padre. Anche lui ha i jeans, ed è simile a tanti altri padri. Tiene gli occhi fissi sul bambino, lo incalza. 

“Rispondi!” urla. 

Silenzio, sguardo a terra.

“Perché non rispondi?”

Silenzio, mani che premono dentro le tasche, come per nascondersi ancora di più.

“Devi guardarmi quando ti parlo, capito?”

“Guardami in faccia, ho detto, cazzo!”

Il bambino solleva la fronte, gli punta addosso due pupille lustre, la rabbia non gli sta negli occhi. Furiosa come un vento che passa e travolge tutto: il padre, i passanti, la gigantografia dell’auto di lusso appesa alla facciata del palazzo di fronte. Butta giù le decorazioni natalizie, le borse con i regali. 

Il padre allarga appena il petto, apre le spalle, un leggero movimento all’indietro. Fissa il figlio come se non lo riconoscesse, poi infila una mano in tasca, tira fuori un pacchetto di tabacco. 

“Cosa credi, che a me piaccia questa vita?” dice, un filtro ultraslim nell’angolo destro della bocca. “Che mi piaccia alzarmi alle cinque tutte le mattine? Che sia la vita che volevo?”

Il bambino adesso lo fissa, il naso tirato, tutto teso a trattenere qualcosa. L’uomo invece tiene gli occhi sulla sigaretta che sta arrotolando:

“Io non ho mica avuto la tua fortuna, sai? Mio padre non mi portava mica in giro la domenica, non mi chiedeva certo cosa volevo per Natale. E se mi permettevo di fiatare, volavano ceffoni.”

Il bambino guarda il padre, non una parola. Il suo silenzio squarcia il chiasso circostante, zittisce le chiacchiere della gente. Si volta appena verso di me, mi oltrepassa, si fissa su un pannello blu elettrico appeso a un portone, di quelli da cantiere. Qualcuno ci ha disegnato una mano con la bomboletta bianca, il dito medio alzato. Vaffanculo. Fanculo a te, papà. Fanculo ai sacrifici, alle botte che hai preso dal nonno, fanculo alla mia fortuna. 

Tace, il bambino.

“Eccomi!” Sei tu, carico di borse, il cappotto di loden verde un po’ retrò che avevi anche una settimana fa, quando ci siamo conosciuti. La sciarpa e le guance rosse, il sorriso soddisfatto di chi ha finito gli acquisti di Natale. È il nostro primo appuntamento, dovrei essere elettrizzata. Lo ero, giuro, fino a qualche minuto fa. Ma adesso ho gli occhi pieni di quel pannello blu. E solo adesso lo vedo, che sono l’unica, in tutta la via, a non avere nemmeno un pacchetto in mano. Solo io, il bambino e suo padre, come in una bolla. 


Antonella Grassi, l’autrice di questo racconto, è stata una mia studentessa. È stato un piacere ritrovarla al corso La gioia di scrivere, organizzato da La Content e Lucy. In quell’occasione ha scritto questa storia che sono felice di ospitare qui.
Il racconto è originale e inedito. I diritti e la proprietà intellettuale sono dell’autrice. 

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