Una storia ha un inizio, uno svolgimento e una fine, lo sappiamo dai tempi della Poetica di Aristotele. Così come sappiamo che si può raccontare partendo dalla fine, o iniziando in medias res… Nei libri e sullo schermo abbiamo certamente incontrato storie che si divertono a scompigliare l’ordine cronologico degli eventi che formano la trama.
A che pro? Anticipare (o posticipare) alcune informazioni serve a mantenere alta l’attenzione di chi legge, a suscitare curiosità e a rendere i lettori partecipi nella costruzione della trama che diventa così un puzzle a cui aggiungere, mano a mano che la narrazione procede, tutti i tasselli mancanti.
La tecnica: c’è, ma non si vede
Proviamo ora a spostarci dal nostro piacevole ruolo di lettori a quello di autori, di autrici. Stiamo lavorando alla trama della nostra storia, abbiamo chiaro quel che accadrà dall’inizio alla fine e vorremmo lavorare sull’ordine delle informazioni perché crediamo che la tensione narrativa ne beneficerebbe. L’anticipazione potrebbe fare al caso nostro, ma come si fa? Come si scrive un’anticipazione?
Qui iniziano i problemi, perché quando l’anticipazione è ben costruita – e stiamo leggendo una storia che ci piace, particolare non da poco – quasi non ci accorgiamo della sua esistenza. Seguiamo le parole, i collegamenti e i salti temporali del narratore senza porci troppe domande: quel che ci interessa è la storia, sapere quel che accadrà e come andrà a finire.
Ecco perché, quando in classe chiedo se qualcuno ha esempi di anticipazione da condividere, di solito le mani alzate sono poche. Ne ho annotato qualcuno, salvato dalle mie letture, per tenerne traccia qui e aiutare chi è alle prese con la propria storia.
Le nostre anime di notte
In questo paragrafo Addie e Louis, i protagonisti del romanzo di Kent Haruf, si raccontano e ripercorrono, dialogo dopo dialogo, sera dopo sera, le rispettive vite – come accade spesso in questa bella storia che consiglio di leggere a chi non l’avesse ancora incontrata. Sostituisco un verbo che potrebbe svelare un particolare importante con ANDATA .
Ci sposammo in gennaio e andammo a vivere in un appartamentino buio nel centro di Lincoln, io mi trovai un lavoretto come commessa in un grande magazzino e ci mettemmo ad aspettare. La bambina nacque una notte di maggio. Non volevano far entrare Carl in sala parto. Poi tornammo a casa, eravamo felici e molto poveri.
I tuoi genitori non vi davano una mano?
Non tanto. Carl non voleva il loro aiuto. Be’, non lo volevo nemmeno io.
E così è arrivata vostra figlia. Non pensavo fosse così grande.
Sì, così è arrivata Connie.
Me la ricordo appena. So com’è ANDATA.
Sì. Addie tacque e si mosse nel letto. Te ne parlerò un’altra volta.
Adesso invece ti racconto che quando Carl si laureò, tutti e due volevamo venire in Colorado.
Kent Haruf, Le nostre anime di notte, traduzione di Fabio Cremonesi, NNEditore
Qui l’anticipazione è all’interno del dialogo e risulta molto naturale. Capita, parlando, di aprire parentesi che si chiudono subito, come questa. “Te ne parlerò un’altra volta. Adesso invece ti racconto…”.
La rapida deviazione serve a darci un’informazione, seppur parziale. Qualcosa, nel passato, è accaduto. Qualcosa di importante, che i protagonisti conoscono e di cui noi lettori siamo all’oscuro. Ma non per molto: Addie ci assicura che ce ne parlerà un’altra volta. Noi lettori non lo dimenticheremo, perché l’anticipazione ha fatto il suo dovere, ha destato la nostra attenzione. Sappiamo che c’è una tessera del puzzle in attesa di essere scoperta.
V13
Nell’agosto 2014, subito dopo la proclamazione del califfato e l’appello di Abu Muhammad al-Adnani, Krayem parte per la Siria a «fare volontariato», come testimonia la sua presenza fra i quindici barbuti in tuta mimetica che assistono all’esecuzione del pilota di caccia giordano bruciato vivo in una gabbia – il più atroce degli atroci video dell’ISIS. Nella primavera del 2015 viene notato da Oussama Atar, a capo delle operazioni all’estero del califfato, dal quale apprende, stando a una lettera indirizzata alla sorella, «cose stupefacenti», e cerca così «di compiere la migliore azione per rendere Allah il più felice possibile». «La migliore azione per rendere Allah il più felice possibile» è un’impresa suicida, ideata dai grandi capi della COPEX e guidata da Raqqa da Abdelhamid Abaaoud, per la quale a metà settembre 2015 Krayem lascia la Siria. Munito di un falso passaporto siriano, entra in Europa dalla Grecia assieme ad altri due combattenti addestrati in Siria, Sofien Ayari e Ahmad Alkhald. Si ritrovano tutti e tre a Vienna, dove Salah Abdeslam va a prenderli il 3 ottobre per riportarli in Belgio – sto anticipando: non siamo ancora arrivati a questo punto.
Emmanuel Carrère, V13, traduzione di Francesco Bergamasco, Adelphi
Il reportage racconta le udienze del processo per gli attentati terroristici avvenuti a Parigi il 13 novembre 2015 – quelli che colpirono il Bataclan, lo Stade de France e vari bistrot della zona. Siamo in piena non fiction – un genere spesso considerato, a torto, scevro di tecniche di scrittura. La non fiction in molti casi è ottima letteratura, forma e tecniche comprese, e di certo V13 fa parte di questa categoria.
L’anticipazione non può che confermarlo: “sto anticipando, non siamo ancora arrivati a questo punto”. Sembra quasi che l’autore stia riflettendo tra sé o che si stia rivolgendo a noi lettori. Quel che è chiaro è che il groviglio della matassa da sbrogliare è ingarbugliato.
La ricostruzione dei fatti ci arriverà, a quel punto. Nel frattempo, noi lettori abbiamo ricevuto un riferimento, una coordinata per orientarci negli eventi, nei luoghi e nei tempi svelati poco a poco dalle testimonianze e dalle ricostruzioni.
Demon Copperhead
Comunque era vero che June notava sempre tutto e ci si poteva contare. Mentre non valeva lo stesso per mamma in nessuna forma o dimensione. Quindi immaginatevi, io che assicuravo a Emmy che nella vita ci si poteva fidare. Come se ci credessi. Avrei dovuto lasciarle seguire il suo istinto: Mai rimontare a cavallo, perché quello stronzo ti farà cadere ogni volta che può. Così forse sarebbe stata piú preparata ad affrontare tutta la merda che le sarebbe piombata addosso in seguito, e forse a cavarsela meglio. Ma non devo rivelare troppo, non ancora. Scusate.
Barbara Kingsolver, Demon Copperhead, traduzione di Laura Prandino, Neri Pozza
Qui siamo in piena fiction, in pieno romanzo di formazione in stile dickensiano. La voce narrante è quella del protagonista, Demon, che più di una volta e sin dalle prime pagine si rivolge direttamente ai lettori. Lo fa anche in questo paragrafo: le sue scuse altro non fanno che mettere in evidenza l’anticipazione e catturare l’attenzione di chi legge. “Ma non devo rivelare troppo, non ancora. Scusate”.
A cosa serve?
I tre esempi sono tratti da narrazioni contemporanee e molto diverse tra loro, per contenuto e stile. Si può anticipare molto o poco, far notare appena le proprie intenzioni o sottolinearle con delle scuse. Quel che conta è che l’anticipazione è un ottimo alleato quando abbiamo bisogno di preparare il terreno per qualcosa che avverrà più avanti, per ravvivare l’attenzione o per rilanciare la posta in gioco.
Ora non resta che sperimentarla e riconoscerla quando la incontriamo nelle pagine dei nostri autori e autrici preferiti.