Modi per iniziare una storia

Si abbassano le luci, si schiude il sipario, si sfogliano le prime pagine di un libro sino ad arrivare al primo capitolo. L’incipit di una storia è il momento in cui l’attenzione e la curiosità sono altissime: in che mondo mi trovo? Che personaggi incontrerò? Queste le domande di chi legge o guarda, e se chi racconta è bravo abbastanza da mantenere desto l’interesse, o addirittura aumentarlo, allora ci sono ottime probabilità che la storia verrà percorsa fino alla fine.

L’incipit, dunque, ha una bella responsabilità e la sua scrittura – e numerose riscritture – sono un vero cruccio per gli autori e le autrici. Vale ancor di più nell’epoca degli estratti liberamente leggibili online: quanti romanzi abbiamo comprato o preso in prestito, illusi da quell’inizio così affascinante, interessante, ben scritto, che proseguendo nella lettura si è rivelato poco più di uno specchio per le allodole?

Ci pensavo mentre leggevo l’inizio di Expats. La vita delle altre di Janice Y. K. Lee, traduzione di Studio Littera, Sperling & Kupfer e mentre guardavo l’inizio di Expats, serie tv ideata da Lulu Wang – regista del pluripremiato The Farewell – Una bugia buona.

Li ripropongo entrambi, senza specificare quale sia quello del romanzo e quale della serie tv, e ne analizzo alcune parti. Prova a indovinare quale, secondo te, appartiene alla serie e quale al romanzo.

Expats, un inizio

Una dottoressa nota per le sue attività benefiche investì un gruppo di persone in un mercato locale, uccidendone tre e ferendone cinque. Dopo i turni, a volte, riposava nella stanza delle guardie prima di guidare fino a casa. Quel giorno non lo fece. Andava alla festa di compleanno della figlia ed ebbe un colpo di sonno. Non arrivò alla festa quel giorno, né festeggiò più il compleanno della figlia. Quel giorno divenne un anniversario di altro tipo, che la dottoressa non desiderava festeggiare. 
Tre piloti su un piccolo velivolo si avvicinarono troppo a una funivia. La fitta nebbia riduceva la visibilità. Non videro le cabine che portavano gli sciatori e l’ala destra dell’aereo tranciò i cavi d’acciaio. La cabina volò giù da ottanta metri e i venti passeggeri a bordo morirono sul colpo. In seguito, uno dei piloti tentò di contattare i familiari delle vittime, ma nessuno gli rispose mai. 
Un dodicenne provocò al proprio gemello una lesione spinale a livello C7 che lo paralizzò dal collo in giù. Malgrado la madre cercasse di farli smettere, i ragazzi si azzuffavano come al solito. Il tavolino su cui il gemello cadde era sempre stato lì. I gemelli erano identici, ma da quel momento in poi niente fu più identico nella loro vita. 
Queste storie si focalizzano sempre sulla vittima, del responsabile dell’incidente non si parla mai. Nessuno vuole sapere del ragazzino che paralizzò il fratello o della dottoressa che si addormentò al volante o dei piloti che fecero precipitare la cabina. Invece io voglio sapere dei responsabili. Voglio sapere delle persone che hanno provocato le tragedie. 
Le persone come me verranno mai perdonate? Riusciranno mai a dimenticare? Non passa istante in cui io non pensi a quello che ho fatto. Non passa istante in cui io non pensi a te, quello che fai, a come lo fai e a come continui a vivere, visto che io ho completamente stravolto la tua vita.

Il prologo si apre con la cronaca di tre incidenti causati da una dottoressa, tre piloti e un dodicenne. La voce narrante si limita a riportare i fatti, senza commenti o interpretazioni.
Dopodiché fa alcune riflessioni su responsabili e vittime: mentre di solito l’attenzione si concentra sulle seconde, chi sta raccontando vuole sapere dei primi.

Invece io voglio sapere dei responsabili. Voglio sapere delle persone che hanno provocato le tragedie.

Iniziamo a scoprire qualcosa di questa voce, ed è qualcosa di importante. C’è un coinvolgimento diretto e personale in quanto sta raccontando, esplicitato dalla frase successiva:

Le persone come me verranno mai perdonate?

Anche in questo caso, come poco prima, la considerazione passa dal generale al particolare:

Queste storie si focalizzano sempre sulla vittima / Invece io voglio sapere dei responsabili.

Le persone come me… / Non passa istante in cui io non pensi a quello che ho fatto.

Non si limita a replicare lo schema precedente, non sarebbe abbastanza efficace per chiudere il prologo. Allora, ecco un ulteriore rilancio:

Non passa istante in cui io non pensi a te…

Chi è questo “te”? E cosa gli avrà fatto questo “io”?
La curiosità è stata risvegliata. Il prologo ora può terminare, la storia inizia davvero.

Expats, un altro inizio

I nuovi expats atterrano praticamente ogni giorno della settimana, a qualsiasi ora. Arrivano da New York con Cathay Pacific, da Londra con British Airways, da Giacarta con Garuda Indonesia, da Tokyo con All Nippon Airways, carichi di valigie, borse Louis Vuitton, neonati e biberon, esausti, eccitati e nervosi. La maggior parte ha viaggiato in un sedile stretto; solo pochi fortunati hanno bevuto champagne in prima classe; gli altri hanno guardato un paio di film in business, mangiando sandwich prosciutto e brie. Sono impazienti, malinconici, spaventati, oppure contenti di essere finalmente a Hong Kong, la loro nuova casa per sei mesi, un anno, un contratto di tre anni al massimo, o per sempre, chissà. Sono giovani; sono uomini e donne a metà carriera che sperano in un trampolino per un posto più prestigioso; sono professionisti al loro ultimo incarico prima di godersi la pensione. Lavorano in banca o in studi legali. Producono bottoni, abiti, hard disk, giocattoli. Gestiscono ristoranti, fanno i baristi, insegnano yoga, sono designer o architetti. Sono disoccupati. Sperano di trovare un impiego. Non ne possono più di quello che hanno. Arrivano a gennaio, dopo Natale; a giugno, appena i bambini hanno finito la scuola; ad agosto, prima che inizi il nuovo anno scolastico; o quando la loro azienda prenota i biglietti. Vengono con la famiglia, la moglie, il fidanzato, oppure da soli, fiduciosi di incontrare qualcuno. Sono cinesi, irlandesi, francesi, coreani, americani: una vera e propria nazione di persone in cerca di fortuna, determinate, decise a cambiare vita e a reinventare sé stesse. 

Niente preamboli qui, si va dritti al punto.
La voce narrante osserva gli expats in viaggio verso la nuova vita, ne riproduce il flusso continuo di arrivo da ogni parte del mondo, le loro differenze di classe e le emozioni simili. Quel che è chiaro, in questo incipit, è che siamo di fronte a una moltitudine con alcune caratteristiche precise e che questa moltitudine viene osservata da una certa distanza. La stessa che adottiamo noi lettori mentre entriamo in contatto con la “nazione di persone in cerca di fortuna”.

Si tratta di due inizi molto diversi. Raccontare una storia significa creare un mondo, e un mondo ha vari punti d’ingresso. Scegliere quello che diventerà l’entrata principale per i lettori o gli spettatori non è un compito facile perché le possibilità sono innumerevoli. Cosa vogliamo suscitare in chi legge e si sta affacciando alla nostra storia? Che immagini, eventi, stile utilizzare per farlo? Esplorare varie possibilità ci permette di comprendere meglio le potenzialità della storia che vogliamo raccontare.

E a proposito dei due inizi: quale appartiene al romanzo e quale alla serie tv?
Il trailer della serie contiene la soluzione.

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