Si abbassano le luci, si schiude il sipario, si sfogliano le prime pagine di un libro sino ad arrivare al primo capitolo. L’incipit di una storia è il momento in cui l’attenzione e la curiosità sono altissime: in che mondo mi trovo? Che personaggi incontrerò? Queste le domande di chi legge o guarda, e se chi racconta è bravo abbastanza da mantenere desto l’interesse, o addirittura aumentarlo, allora ci sono ottime probabilità che la storia verrà percorsa fino alla fine.
L’incipit, dunque, ha una bella responsabilità e la sua scrittura – e numerose riscritture – sono un vero cruccio per gli autori e le autrici. Vale ancor di più nell’epoca degli estratti liberamente leggibili online: quanti romanzi abbiamo comprato o preso in prestito, illusi da quell’inizio così affascinante, interessante, ben scritto, che proseguendo nella lettura si è rivelato poco più di uno specchio per le allodole?
Ci pensavo mentre leggevo l’inizio di Expats. La vita delle altre di Janice Y. K. Lee, traduzione di Studio Littera, Sperling & Kupfer e mentre guardavo l’inizio di Expats, serie tv ideata da Lulu Wang – regista del pluripremiato The Farewell – Una bugia buona.
Li ripropongo entrambi, senza specificare quale sia quello del romanzo e quale della serie tv, e ne analizzo alcune parti. Prova a indovinare quale, secondo te, appartiene alla serie e quale al romanzo.
Expats, un inizio
Il prologo si apre con la cronaca di tre incidenti causati da una dottoressa, tre piloti e un dodicenne. La voce narrante si limita a riportare i fatti, senza commenti o interpretazioni.
Dopodiché fa alcune riflessioni su responsabili e vittime: mentre di solito l’attenzione si concentra sulle seconde, chi sta raccontando vuole sapere dei primi.
Invece io voglio sapere dei responsabili. Voglio sapere delle persone che hanno provocato le tragedie.
Iniziamo a scoprire qualcosa di questa voce, ed è qualcosa di importante. C’è un coinvolgimento diretto e personale in quanto sta raccontando, esplicitato dalla frase successiva:
Le persone come me verranno mai perdonate?
Anche in questo caso, come poco prima, la considerazione passa dal generale al particolare:
Queste storie si focalizzano sempre sulla vittima / Invece io voglio sapere dei responsabili.
Le persone come me… / Non passa istante in cui io non pensi a quello che ho fatto.
Non si limita a replicare lo schema precedente, non sarebbe abbastanza efficace per chiudere il prologo. Allora, ecco un ulteriore rilancio:
Non passa istante in cui io non pensi a te…
Chi è questo “te”? E cosa gli avrà fatto questo “io”?
La curiosità è stata risvegliata. Il prologo ora può terminare, la storia inizia davvero.
Expats, un altro inizio
Niente preamboli qui, si va dritti al punto.
La voce narrante osserva gli expats in viaggio verso la nuova vita, ne riproduce il flusso continuo di arrivo da ogni parte del mondo, le loro differenze di classe e le emozioni simili. Quel che è chiaro, in questo incipit, è che siamo di fronte a una moltitudine con alcune caratteristiche precise e che questa moltitudine viene osservata da una certa distanza. La stessa che adottiamo noi lettori mentre entriamo in contatto con la “nazione di persone in cerca di fortuna”.
Si tratta di due inizi molto diversi. Raccontare una storia significa creare un mondo, e un mondo ha vari punti d’ingresso. Scegliere quello che diventerà l’entrata principale per i lettori o gli spettatori non è un compito facile perché le possibilità sono innumerevoli. Cosa vogliamo suscitare in chi legge e si sta affacciando alla nostra storia? Che immagini, eventi, stile utilizzare per farlo? Esplorare varie possibilità ci permette di comprendere meglio le potenzialità della storia che vogliamo raccontare.
E a proposito dei due inizi: quale appartiene al romanzo e quale alla serie tv?
Il trailer della serie contiene la soluzione.