Descrizioni e dettagli nella scrittura

Si dice che il diavolo stia nei dettagli. Chi ha frequentato un corso di scrittura o letto qualche manuale sull’argomento saprà di certo che i dettagli stanno nei racconti e nei romanzi, o per lo meno dovrebbero starci.

Il condizionale è d’obbligo, soprattutto per chi è agli inizi e ha già il suo bel da fare nel barcamenarsi tra trama e personaggi. Una gran fatica a capire cosa succede e a chi, e a metterlo sulla pagina. Alla fine la storia c’è, e con lei un senso di insoddisfazione perché non era come l’avevamo immaginata.

Mancano i dettagli! Le descrizioni!, chiosa il docente del corso di scrittura o l’amico, a sua volta scrittore, a cui abbiamo fatto leggere il racconto.
Ecco quel che accade di solito: il testo viene infarcito di qualche particolare qua e là, a casaccio, o di qualche riga che descrive interni ed esterni alternandosi alla narrazione.
Ora i dettagli e le descrizioni ci sono, su questo non c’è dubbio. Ma hanno giovato al racconto?

Ci sono altri modi, oltre alla mera alternanza tra eventi e descrizioni, per dare tridimensionalità alla storia. Olive Kitteridge di Elizabeth Strout ci mostra come si potrebbe fare.

Nel parcheggio non riusciva a trovare le chiavi e dovette rovesciare il contenuto della borsetta sopra il cofano dell’auto arroventato dal sole. Quando arrivò allo stop, il conducente di un camion rosso le suonò il clacson. «Va’ al diavolo», mormorò Olive allo specchietto retrovisore, poi si infilò nel traffico. Il sacchetto del negozio di stoffe cadde sul pavimento dell’auto e un lembo di cotone scivolò fuori sul tappetino ruvido. «Andrea Bibber vuole che prendiamo un appuntamento per una consulenza psicologica», avrebbe detto ai vecchi tempi, ed era facile immaginare Henry che corrugava le sopracciglia folte, smetteva di pulire i piselli e si alzava in piedi. «Perbacco, Ollie», le avrebbe risposto, con la baia che si allargava dietro di lui e i gabbiani che sbattevano le ali sopra un peschereccio di aragoste. «Ma pensa un po’». Forse avrebbe perfino tirato indietro la testa e sarebbe scoppiato a ridere, come faceva talvolta, di fronte a una notizia tanto comica.

Elizabeth strout, olive kitteridge, traduzione di silvia castoldi, fazi

In questo paragrafo, come del resto accade in tutto il libro, la trama è un intreccio sapiente di azioni e descrizioni attraverso i dettagli. Quando Olive annuncia a Henry, suo marito, che una conoscente ha consigliato loro una consulenza psicologica, lui ha una reazione precisa che ci permette di raccogliere tantissime informazioni.

Lavorare sui dettagli. Alcune ipotesi

Quel che trovo, di solito, nelle prime stesure di tanti aspiranti autori che incontro in classe, riguarda il fulcro dell’azione. Una cosa del genere:

«Andrea Bibber vuole che prendiamo un appuntamento per una consulenza psicologica», avrebbe detto ai vecchi tempi. «Perbacco, Ollie. Ma pensa un po’», le avrebbe risposto.

Dopo aver letto la prima stesura, serve un altro po’ di tempo per guardare la scena più da vicino e lasciare che emerga qualche particolare: le sopracciglia sono folte, la testa va indietro e accompagna uno scoppio di risa.

«Andrea Bibber vuole che prendiamo un appuntamento per una consulenza psicologica», avrebbe detto ai vecchi tempi, ed era facile immaginare Henry che corrugava le sopracciglia folte. «Perbacco, Ollie», le avrebbe risposto. «Ma pensa un po’». Forse avrebbe perfino tirato indietro la testa e sarebbe scoppiato a ridere.

Quando si prende la giusta distanza e si guardano non solo i personaggi che agiscono e reagiscono, ma lo spazio in cui si muovono, e gli si dà voce, allora si amplia anche l’esperienza di chi legge.
L’inquadratura si allarga e noi lettori capiamo che il dialogo si svolge in cucina, immaginiamo Henry circondato dal verde dei baccelli, lo vediamo interrompere quel che sta facendo. Una volta in piedi, la prospettiva cambia. Ora notiamo la finestra della cucina che si affaccia sulla baia.
È un paesaggio diurno, con i gabbiani e il peschereccio di aragoste che danno movimento al cielo e al mare. Henry si alza in piedi, la baia si allarga, i gabbiani aprono le ali ed Henry si abbandona al riso incorniciato dal blu del cielo e del mare.

Concretezza all’immaginazione

La scena non accade davvero: è un pensiero di Olive che immagina la reazione del marito a una proposta, quella della consulenza psicologica, che considera assurda, comica. È anche un insegnamento importante per chi scrive: mostra come dare concretezza all’immaginazione. Servono parole precise, e prima ancora serve uno sguardo attento e curiosità verso ciò che si sta raccontando. Non c’è da avere fretta.

Quando raccontiamo abbiamo la possibilità di portare alla luce un mondo. Un mondo che a volte risulta piatto, stereotipato, ed è un peccato perché è proprio lì che vivono, soffrono, gioiscono, muoiono i personaggi della storia che stiamo raccontando. I dettagli e le descrizioni servono anche a dare profondità e vastità al mondo narrativo, a svelarlo ai lettori che così riescono a percepirlo e a entrarci dentro.

Come si costruisce questa profondità? Spesso non si tratta di inventare e aggiungere ma di fermarsi, guardarsi attorno e lasciare spazio anche ai baccelli sul tavolo, alle ali di un gabbiano sullo sfondo.

Per chi ha letto Olive Kitteridge e/o visto la serie tv omonima e volesse approfondire, consiglio un bell’articolo di Francesco Pacifico su Internazionale.

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