— Arrivano! Sorridete. Saluta, Lani. Esatto. Come se te ne importasse. Lani, so che è il tuo primo giorno, e non so come funziona con le altre strutture, ma qui non diamo troppa confidenza agli ospiti. Soprattutto agli ospiti vip che arrivano in barca. Non devi essere troppo… specifica. Come presenza, come identità, devi essere più… generica.
— … Generica.
— Sì. È una… filosofia giapponese. Ci viene chiesto di sparire dietro le nostre maschere in qualità di assistenti intercambiabili. È un… kabuki tropicale. E l’obiettivo è donare ai nostri ospiti una sensazione generale di… vaghezza, che può essere molto soddisfacente, in modo che possano avere tutto ma loro non sanno cosa vogliono o che giorno è, o dove si trovano o chi sono, o cosa cazzo succede.
Questo dialogo avviene tra Armond, il manager del resort di lusso The White Lotus, e la stagista Lani al suo primo giorno. I due stanno aspettando gli ospiti insieme al resto dello staff. Mentre salutano con la mano e sorridono “come se gliene importasse” svelano a noi, che li guardiamo da questa parte dello schermo, il trucco che permette l’illusione.
Di questo tipo di illusione aveva scritto anche David Foster Wallace nel suo indimenticabile Una cosa divertente che non farò mai più. In quel caso l’autore era sì un ospite della crociera di lusso, ma era a bordo per lavoro dato che gli era stato commissionato un reportage su quel tipo di vacanza.
A parte le lievi varianti adattative a seconda della nicchia, la «crociera Extralusso 7NC» costituisce un genere uniforme. Tutte le megacompagnie offrono lo stesso prodotto di base. Questo prodotto non consiste in un srevizio o in una serie di servizi. Non è neanche tanto il divertimento (anche se si capisce subito che uno dei grandi compiti del direttore di crociera e del suo staff è di continuare a rassicurare tutti che tuti si stanno divertendo): è più, come dire, una sensazione. Ma rimane un prodotto basato sulla buona fede – cioè, cercano davvero di produrla in te, questa sensazione: una miscela di relax ed eccitazione, di appagamento senza stress e turismo frenetico, quella fusione particolare di servilismo e condiscendenza che viene propagandata attraverso tutte le forme del verbo viziare. Le brochure delle megacompagnie sono addirittura tempestate da questo verbo: «… come non vi hanno mai viziati prima», «… a viziarvi nelle nostre jacuzzi e saune», «Lasciatevi viziare», «Fatevi viziare dai caldi zeffiri delle Bahamas».
Il fatto che gli americani adulti degli anni Novanta tendano ad associare la parola pamper, «viziare», a un particolare prodotto di consumo non è casuale, non credo, e la connotazione non si perde in queste megacompagnie di massa e nelle loro pubblicità. E se ripetono e sottolineano di continuo questa parola, avranno le loro buone ragioni.
«Quella fusione particolare di servilismo e condiscendenza» è, per quanto riguarda la mia esperienza, la definizione più adeguata dell’atteggiamento che spesso viene richiesto a chi lavora con il pubblico degli ambienti di lusso, e non solo nell’accoglienza.
Il libro venne pubblicato nel 1997, dopo quasi vent’anni poco è cambiato.
Se quello di David Foster Wallace è un reportage, la serie tv The White Lotus di Mike White è una storia inventata che non si limita a mettere in scena una settimana di vacanza di persone ricche ma racconta dinamiche lavorative tipiche di molti ambienti di lusso. Soprattutto la prima stagione, infatti, lascia molto spazio ai dipendenti del resort e a ciò che accade dietro le quinte.
Come Belinda, direttrice della spa dell’hotel, la cui predisposizione all’ascolto la rende preda degli sfoghi e dei capricci del momento degli ospiti del resort, talmente concentrati su di sé da dimenticare che anche Belinda potrebbe avere una propria vita, problemi, preoccupazioni, proprio come loro. Tanto che, quando un’ospite in preda a una crisi matrimoniale chiede a Belinda un consiglio, lei risponde: li ho finiti, si alza e se ne va. È alla fine di una giornata lavorativa difficile, ha appena visto andare in frantumi il suo sogno di aprire un proprio centro benessere e per una volta si concede una sincerità che manda in frantumi «quella fusione particolare di servilismo e condiscendenza».
O come la piccola macchia di maionese sulla maglia della stagista Lani, macchia subito notata dal manager Armond che non si accorge che Lani è incinta. La donna partorirà in un ufficio dell’hotel senza poter contare su un’assistenza immediata perché, seppur dovessero esserci medici tra gli ospiti della struttura, meglio non disturbarli, sono in vacanza. Ordini di Armond.
Il personaggio di Armond ricorda molto il direttore d’hotel della nave raccontata da David Foster Wallace, ma lo stesso vale per il resto del personale di bordo.
Ho acquisito e nutrito un rancore che potrebbe anche durare tutta la vita verso il direttore d’hotel della nave – il cui nome era signor Dermatis e che io da allora in poi ho battezzato signor Dermatitis – un rispetto quasi ossequioso per il mio cameriere e un’ardente passione per la cameriera della mia cabina del corridoio sul ponte 10, Petra, Petra dalle fossette e dalle sopracciglia ampie e candide, che indossava divise sempre bianche inamidate e fruscianti e profumava del disinfettante al cedro norvegese che passava nei bagni; e che puliva ogni centimetro praticabile della mia cabina almeno dieci volte al giorno, ma che non si è mai fatta sorprendere nell’atto di pulire – una figura di eleganza magica e duratura, meritevole di una cartolina tutta dedicata a lei.
Anche la prima stagione di The White Lotus dedica molte cartoline allo staff del resort e alle condizioni in cui deve lavorare per fare sì che gli ospiti vivano il proprio soggiorno di lusso. Ne esce un quadro desolante.
È una storia inventata, certamente. Ma spesso è proprio la fantasia che riesce a raccontare in modo lucido la realtà.